I diritti di “uso esclusivo” nel condominio
Capita molto spesso di imbattersi all’interno di un condominio in regolamenti o atti di provenienza con cui determinate aree comuni (solitamente cortili, parcheggi o terrazze) vengono attribuite in “uso esclusivo” a singoli proprietari di appartamenti.
Tuttavia tali diritti, a dispetto della loro larga diffusione e dell’apparente chiarezza, non trovano una puntuale disciplina normativa, potendosi rintracciare qualche riferimento soltanto nell’ambito delle norme in tema di riparto delle spese condominiali o di esecuzione di opere.
La significativa carenza di elementi di disciplina costituisce invero la causa di innumerevoli controversie, tesa a contestare talvolta l’illegittima occupazione di dette aree in uso esclusivo, altre la trasmissibilità di siffatti diritti ai successivi acquirenti delle medesime porzioni abitative.
Cosa sono i diritti di uso esclusivo?
Con tale espressione si è soliti indicare il particolare godimento che il condomino è legittimato ad esercitare in maniera più intensa su un bene comune, in deroga al principio generale per cui esso spetta in solido e promiscuamente agli stessi condomini.
Ciò risponde evidentemente ad un’esigenza avvertita in questo specifico ambito, poiché alle volte è essenziale affinchè si possa in tal modo godere in maniera più fruttuosa e pacifica degli spazi comuni. Per comprendere ciò basta pensare alla frequenza con cui vengono assegnati in uso esclusivo i parcheggi ai singoli condomini.
Che natura hanno tali diritti?
L’aspetto più dibattuto è proprio quello relativo alla natura di tale diritto. Infatti, dal riconoscimento di una specifica natura piuttosto che un’altra, ne deriverebbero conseguenze estremamente rilevanti sul piano della durata, della circolazione e della opponibilità degli stessi.
Nei vari tentativi di collocare la figura dell’”uso esclusivo” all’interno delle categorie concettuali già note, si sono affacciate diverse teorie.
Secondo alcuni autori occorrerebbe ricondurre la figura in oggetto ai diritti reali, ed in particolare al diritto di uso, ai sensi dell’art. 1021 c.c., oppure al diritto di servitù o ad un vero e proprio diritto di proprietà.
Tuttavia prevale nell’ambito della dottrina notarile e della giurisprudenza della Cassazione l’intendimento per cui tali diritti costituirebbero esclusivamente una specifica modalità di ripartizione del godimento delle parti comuni, che avverrebbe secondo modalità non paritarie, senza incidere sull’appartenenza delle dette parti comuni alla collettività.
Secondo quest’ultima interpretazione, il limite nella creazione dell’uso esclusivo sarebbe rappresentato dal doveroso mantenimento in favore degli altri condomini di una pur minima possibilità di godimento, non potendosi ammettere una loro totale esclusione.
Ciò beninteso andrà valutato in rifermento al complesso condominiale in sé o al bene comune nella sua complessità e non alle sue singole parti.
Il diritto di “uso esclusivo” è trasmissibile agli acquirenti di un’abitazione?
La giurisprudenza è stata più volte sollecitata proprio in relazione alla specifica esigenza di garantire il subentro dell’acquirente anche nelle facoltà di uso esclusivo sulle parti comuni.
Nelle ormai numerose occasioni in cui si è pronunciata, la Corte di Cassazione ha affermato che tale diritto non si estingue con il decesso del beneficiario, che lo stesso è tendenzialmente perpetuo e trasferibile ai successivi aventi causa dell’unità immobiliare cui accede.
Come si costituiscono e si modificano i diritti di “uso esclusivo”?
Tali diritti possono essere previsti sia nel primo atto di vendita dell’appartamento in condominio (costituendo questo il momento di formazione del condominio stesso), sia in un regolamento condominiale.
Tuttavia il tema della loro costituzione e della modifica rappresenta allo stato attuale una delle questioni ancora dibattute.
Non a caso le varie posizioni espresse ricalcano la discussione circa la natura del diritto stesso, traendone logiche conseguenze anche sul piano della modificabilità.
E’ stato così sostenuto che sarebbe possibile provvedere alla modifica delle facoltà di godimento dei condomini sulle parti comuni con una semplice delibera a maggioranza o con una modifica del regolamento condominiale. Qualche autore ha anche sostenuto che fosse necessario altresì il presupposto della convenienza e della ragionevolezza di detta scelta, ovvero l’impossibilità o l’irrazionalità di un uso promiscuo delle parti comuni.
Dall’altro lato si è invece sostenuto che una tale modifica richiederebbe il consenso unanime di tutti i condomini.
Quest’ultima soluzione sembra preferibile poiché, pur afferendo tale decisione alla sfera del godimento sulle parti comuni, inciderebbe in realtà sulle facoltà dei singoli condomini connaturate nella posizione di comproprietari. Ne consegue altresì che il regolamento con cui si costituiscono o si modificano tali diritti debba essere correttamente qualificato quale regolamento contrattuale.
I dubbi e la rimessione della questione alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Quanto sin qui detto costituisce un’estrema sintesi di tematiche particolarmente rilevanti nella prassi quotidiana. Per tale ragione, in considerazione dell’incertezza che ancora caratterizza la materia, la Corte di Cassazione (Cassazione Civile Ord. Sez. 2, 2 dicembre 2019, n. 31420) ha recentemente investito della questione le Sezioni Unite affinchè chiarisca gli aspetti più significativi sui diritti di “uso esclusivo”.
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